un progetto di comunity dance
The rising of the women means the rising of the race.
J. Oppenheimer Bread and roses
Per ogni donna, distruzione e ricostruzione sono il battere e il levare di ogni esistenza personale e collettiva. Nella spinta della vita che riparte da un crollo in apparenza definitivo, si fa strada l’urgenza della tenacia, l’energia di ogni inizio. Così ci si muove maceria dopo maceria, alla ricerca di frammenti del passato da combinare con nuovi elementi di un tempo presente che muta nel luogo della possibilità, nel quale il corpo si sperimenta per ricominciare e traferisce ad un altro più vicino la spinta di chi dalla sconfitta riparte. Dalla consapevolezza che una ricostruzione individuale possa diventare collettiva, si passa alla scelta di creare un luogo di ponti e comunicazioni, di mescolanze e tentati equilibri, di pareggi e compenetrazioni, tra vuoto e pieno, tra vicino e lontano, una policentricità composta dalla complessa pienezza di ognuna, sostenuta da quel vuoto che dà margine di scelta alla vista, alle intenzioni, al desiderio e che supporta la lenta ricerca di strumenti comunicativi. Si giunge, quindi, alla certezza di essere diverse, ma insieme in un intento condiviso nel quale una comunità di donne che danza, già consolidata, può organizzarsi e farsi voce in difesa di un mondo a misura. E questo è ciò che sui loro corpi è scritto: “gli esseri umani sono gratuiti semi che il vento della società deve far sbocciare, garantire loro pane e rose ed allenare alle correnti della vita. Non siamo indifferenti a noi stesse, perciò riconosciamo l’altro. Danzando insieme vinciamo paura e giudizio, godiamo della bellezza, nutriamo la speranza che un mondo possibile, un posto giusto, prima o poi sarà”.
- Filo?
- Due, però uno turchino.
J. Cortazar Storie di cronopios e di famas
filoturchino, come quello che stringe al cuore il cronopio di Cortazar. Lo stringe forte, con commovente allegria. Lo stringe forte quel filo, proteggendolo, come se da esso dipendesse l’orientamento del mondo e l’ancoraggio del suo cuore. Un gruppo di donne sceglie di incontrarsi per danzare e stringe quello stesso filo: così esile ma così forte da tenerle insieme, capace di resistere alla pioggia e alle fatiche quotidiane. Un filo(turchino) che è legame e resistenza, che è possibilità di stare insieme e di costruire un unisono fatto di diversità, che è sentire la propria fragilità non come solitudine ma come tessuto comune. Nella danza ogni passo è come il respiro incerto del cronopio: non serve essere impeccabili, ma avere il coraggio di restare, di muoversi, di affidarsi. Ed in quell’affidarsi che nasce la comunità: un processo continuo e delicato, tanti fili turchini stretti nella trama e nell’ordito, che insieme non si spezzano. filoturchino, quindi. Non solo un nome, ma un gesto profondo, la scelta di riconoscere che la forza sta nel legame, nella possibilità di stringere insieme un colore, un ritmo, una presenza e trasformarli in uno spazio di
Ideazione: Enrica Felici e Francesca Schipani
Coreografia: Francesca Schipani
Curatela e disegno luci: Danila Blasi
Danzatrici: Nadia Centra, Ilaria Franciotti, Francesca Romana Gambetti, Maria Genovese, Sabrina Milani, Stefania Savelli, Loredana Schiaulini, Francesca Schipani, Giulia Tramentozzi, Giorgia Trentin
Foto: Giangiacomo Montemurro
Produzione: PinDoc
Coproduzione: Rosa Shocking/Festival TenDance
Con il contributo di: MIC e Regione Siciliana
Ideazione: Enrica Felici e Francesca Schipani
Coreografia: Francesca Schipani
Curatela e disegno luci: Danila Blasi
Danzatrici: Nadia Centra, Ilaria Franciotti, Francesca Romana Gambetti, Maria Genovese, Sabrina Milani, Stefania Savelli, Loredana Schiaulini, Francesca Schipani, Giulia Tramentozzi, Giorgia Trentin
Foto: Giangiacomo Montemurro
Produzione: PinDoc
Coproduzione: Rosa Shocking/Festival TenDance
Con il contributo di: MIC e Regione Siciliana
un progetto di comunity dance
The rising of the women means the rising of the race.
J. Oppenheimer Bread and roses
Per ogni donna, distruzione e ricostruzione sono il battere e il levare di ogni esistenza personale e collettiva. Nella spinta della vita che riparte da un crollo in apparenza definitivo, si fa strada l’urgenza della tenacia, l’energia di ogni inizio. Così ci si muove maceria dopo maceria, alla ricerca di frammenti del passato da combinare con nuovi elementi di un tempo presente che muta nel luogo della possibilità, nel quale il corpo si sperimenta per ricominciare e traferisce ad un altro più vicino la spinta di chi dalla sconfitta riparte. Dalla consapevolezza che una ricostruzione individuale possa diventare collettiva, si passa alla scelta di creare un luogo di ponti e comunicazioni, di mescolanze e tentati equilibri, di pareggi e compenetrazioni, tra vuoto e pieno, tra vicino e lontano, una policentricità composta dalla complessa pienezza di ognuna, sostenuta da quel vuoto che dà margine di scelta alla vista, alle intenzioni, al desiderio e che supporta la lenta ricerca di strumenti comunicativi. Si giunge, quindi, alla certezza di essere diverse, ma insieme in un intento condiviso nel quale una comunità di donne che danza, già consolidata, può organizzarsi e farsi voce in difesa di un mondo a misura. E questo è ciò che sui loro corpi è scritto: “gli esseri umani sono gratuiti semi che il vento della società deve far sbocciare, garantire loro pane e rose ed allenare alle correnti della vita. Non siamo indifferenti a noi stesse, perciò riconosciamo l’altro. Danzando insieme vinciamo paura e giudizio, godiamo della bellezza, nutriamo la speranza che un mondo possibile, un posto giusto, prima o poi sarà”.
- Filo?
- Due, però uno turchino.
J. Cortazar Storie di cronopios e di famas
filoturchino, come quello che stringe al cuore il cronopio di Cortazar. Lo stringe forte, con commovente allegria. Lo stringe forte quel filo, proteggendolo, come se da esso dipendesse l’orientamento del mondo e l’ancoraggio del suo cuore. Un gruppo di donne sceglie di incontrarsi per danzare e stringe quello stesso filo: così esile ma così forte da tenerle insieme, capace di resistere alla pioggia e alle fatiche quotidiane. Un filo(turchino) che è legame e resistenza, che è possibilità di stare insieme e di costruire un unisono fatto di diversità, che è sentire la propria fragilità non come solitudine ma come tessuto comune. Nella danza ogni passo è come il respiro incerto del cronopio: non serve essere impeccabili, ma avere il coraggio di restare, di muoversi, di affidarsi. Ed in quell’affidarsi che nasce la comunità: un processo continuo e delicato, tanti fili turchini stretti nella trama e nell’ordito, che insieme non si spezzano. filoturchino, quindi. Non solo un nome, ma un gesto profondo, la scelta di riconoscere che la forza sta nel legame, nella possibilità di stringere insieme un colore, un ritmo, una presenza e trasformarli in uno spazio di
